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Intervista all’Ambasciatore Fabrizio Lobasso “Tutte le strade portano a Khartoum e l’Italia non è mai andata via”

L’ambasciatore italiano in Sudan non nasconde le difficoltà collegate alle sanzioni e la cronica problematica dei finanziamenti, ma parla di buoni spazi per le imprese tricolore e auspica soluzioni finanziarie creative da affiancare a quelle tradizionali.

 di Gianfranco Belgrano

In Sudan dal 2015 e subito di casa grazie a un grande attivismo che si è tradotto in manifestazioni e iniziative incentrate sul Made in Italy nel senso più ampio di questa definizione;con puntate sull’economia, ma anche sulla sfera culturale e sulla cooperazione, molto importante e presente in questa parte d’Africa. E un comune denominatore: dialogo e reciproca conoscenza alla base di tutto. ‘Africa e Affari’ ha incontrato l’ambasciatore Fabrizio Lobasso nel suo ufficio di Khartoum ed è stato un momento significativo per capire il ruolo dell’Italia oggi e gli spazi che già si stanno aprendo.
Ambasciatore Lobasso, anche in considerazione della fine delle sanzioni statunitensi, pensa che la presenza italiana crescerà?
Ci sono tutte le condizioni. In realtà, pure in tempo di sanzioni, l’interesse italiano non è mai svanito;ogni settimana mi arrivano richieste di dati e informazioni da parte di imprese attive in più settori, soprattutto agricolo, agro-industriale, zootecnico. C’è da agurarsi e da prevedere un aumento di tale interesse e a me non può che far piacere, dal momento che questo è uno dei compiti più importanti per un capo missione e per la sua squadra, e cioè rafforzare la presenza nazionale qui in Sudan, non solo per quanto riguarda il volume della bilancia commerciale, quindi in termini di import-export, ma soprattutto per quanto riguarda la costruzione di partnership stabili: già adesso ci sono imprese consapevoli del fatto che il mercato sudanese offre agevolazioni che gli altri Paesi limitrofi non offrono, però, visto lo scarso giro di valuta pesante, sono restie a venire a investire direttamente, a investire in partnership durature.Questo è il grande obiettivo a cui stiamo mirando: fare in modo che più imprese italiane vengano qui, far capire che vi sono enormi potenzialità, che le condizioni per sviluppare queste potenzialità sono migliorate e che miglioreranno sempre di più in questi mesi. Un numero maggiore di aziende potrà creare un sostrato economico-aziendale italiano, contribuendo, appunto con tocco italiano,al benessere e alla prosperità di questo Paese.
Il governo sudanese ha in programma grandi opere infrastrutturali: qualche mese fa c’è stato un bando per dieci strade di interesse nazionale, ci dovrebbero essere progetti ferroviari di collegamento transfrontaliero con l’Etiopia. Ci potrebbero essere spazi, nel quadro del rinnovamento dell’aeroporto, per aziende che operano nei sistemi radar, di rilevamento. Ma c’è anche un problema di finanziamenti…
Questo è il punto. Le possibilità ci sono, anche perché i sudanesi conoscono l’expertise italiana, se la ricordano;  qui in Sudan negli anni passati abbiamo costruito tanti ponti, dighe, agglomerati urbani, strade, importantissime aziende vengono ricordate ancora adesso, anche perché Italia significa qualità e affidabilità, prima, durante e dopo i lavori.  Su questo substrato noi dobbiamo lavorare, intanto aumentando la tempestività,  cioè facendo sapere le notizie in anteprima,  mantenendo i contatti con le istituzioni finanziarie ed economiche,  qui sul posto, e lo stiamo facendo. Resta il problema dei finanziamenti. Per alcune aree come il Sudan, anche per i problemi che esse presentano,  l’Italia mostra uno scarso appetito ad inventare soluzioni finanziarie creative a copertura dei crediti alle aziende italiane o finanziamenti tout court per cercare di invogliare le aziende stesse a venire,  sentendosi le spalle coperte. Potremmo talvolta adagiarci su progetti della Banca Mondiale o della Banca africana di sviluppo o su progetti finanziati da gruppi e istituzioni cinesi che hanno bisogno di expertise italiana. Ovviamente lavoriamo anche su queste possibilità, ma di base dovremmo essere più dipendenti, anche perché ho il sentore che questa disponibilità monetaria-finanziaria cinese in tantissima parte di Africa stia diminuendo. Dobbiamo creare in qualche modo i presupposti per far capire bene cos’è il Sudan, come fare, e cercare di far sviluppare un maggior dialogo interistituzionale nostrano, magari attivando soluzioni di finanza creativa o triangolazioni con altre istituzioni, per esempio nei Paesi del Golfo. Expertise, progettazione, implementazione, finanziamento sono alla base di tutto: sta mancando quest’ultimo pezzo,  mi rendo conto che non è un problema da poco, è anche un problema di priorità, di investimenti, di priorità geopolitica,geostrategica, anche nella finanza, ma il Sudan ha tutte le caratteristiche per rientrare nei nostri interessi prioritari di questa importante regione del Corno d’Africa allargato.
Al ministero degli Investimenti sudanese riferiscono che sempre più in futuro si ricorrerà al Partenariato pubblico-privato, in cui lo Stato fornirà delle garanzie; questa potrebbe essere una soluzione più a portata delle aziende italiane.
Esattamente. Lo Stato sudanese purtroppo dipende moltissimo dai finanziamenti esterni, ha una posizione debitoria non indifferente mirata a richiamare investimenti dai Paesi del Golfo soprattutto nella parte agricola e agro-industriale,ecco perché ogni volta che arrivano qui aziende italiane e hanno bisogno di contatti non faccio mai mancare contatti anche con l’alta finanza saudita o emiratina, per vedere se è possibile creare quelle triangolazioni che alcuni già utilizzano – via Dubai, per esempio – mettendo insieme le finanze di chi ne dispone (come i sauditi) e l’expertise di chi è competente (come noi), in attesa di soluzioni italiane economico-finanziarie più integrate e operative.
Sulla posizione debitoria il Sudan è molto sensibile; da questo punto di vista, l’Italia, l’Europa nel suo insieme,potrebbero facilitare in qualche modo la situazione?
L’Italia nei consessi internazionali, e parlo soprattutto del Club di Parigi, è sempre molto disponibile a far sì che la posizione sudanese possa essere rivista. Ovviamente ciò potrà accadere con un negoziato che è in corso ma che è complesso perché necessita del parere positivo di tutti quanti i membri del Club, e soprattutto occorre che il Sudan, alla fine di questo processo, entri a far parte del gruppo di Paesi che possono usufruire di ulteriori agevolazioni (con il debito cancellato o fortemente ridotto). L’Italia su questo fronte è in prima linea, come lo era per lesanzioni: abbiamo sempre cercato di sottolineare che con le sanzioni vi sono molti contro che deprimono in maniera induttiva un intero sistema e non raggiungono in modo efficace gli obiettivi inizialmente prefissati. Vedremo se anche il secondo passo sul debito potrà essere raggiunto. Noi ci siamo e ricordiamo alla comunità internazionale che il Sudan ha bisogno di noi.
Tornando alle imprese, i grandi progetti potrebbero portare importanti aziende italiane e, di conseguenza,favorire anche piccole e medie imprese come sub-contractor. Ma al di fuori di questi grandi progetti, è possibile per le Pmi italiane sviluppare qualcosa in Sudan, magari con partner locali?
Qui in Sudan non c’è una piccola e media impresa tanto sviluppata (come in Italia o in altri Paesi) da permettere una partnership in senso così egualitario, ma sicuramente vi è tutto un mondo in movimento in settori come agricoltura,agroindustria,conceria,artigianato,manifattura, rinnovabili, ortofrutta,che potrebbe essere una base di partenza fondamentale per uno sbarco italiano più stabile, a patto però che queste aziende portino con sé anche continua formazione e training per entrare in partnership. Il futuro delle relazioni economiche tra il Sudan e la comunità internazionale passa necessariamente per un empowerment locale e per l’acquisizione da parte del mondo imprenditoriale sudanese di skill commerciali che oggi rallentano lo sviluppo del business privato sudanese.
Quindi possiamo dire che è fondamentale anche avere informazione?
Certo, informazione presso le istituzioni innanzitutto, e poi presenza fisica. I sudanesi, come avviene in tante culture africane e arabe, hanno bisogno del contatto personale: amano l’intuitu personae,il confronto de visu; costa poco venire qui tre giorni,incontrare persone, partecipare a momenti conviviali,lasciare che l’ambasciata segua con presenza rassicurante questi incontri, mettendo a totale disposizione la residenza diplomatica, presenziando workshop all’inizio e alla fine, consegnando certificati, suggerendo location,aree dove è possibile discutere,idarsi delle istituzioni. I sudanesi vogliono essere conquistati anche attraverso una stretta di mano, magari un abbraccio o una cortesia. In altre parole i sudanesi amano farsi conoscere, far sapere al mondo che dietro l’appellativo ormai vetusto di Stato canaglia vi è tanto di più che possono dare. Qui si lavora bene, gli italiani che hanno lavorato qui hanno fatto comparazioni notevolmente positive rispetto ai loro vicini in termini di affidabilità e professionalità.
Tutto questo deve essere rapportato al Paese e agli standard locali, ma sicuramente l’approccio imprenditoriale (non solo italiano)
in Sudan dovrebbe evitare atteggiamenti da mordi e fuggi o dell’usa e getta. Conquistare il cuore della business community sudanese significa anche essere qui, osservare, partecipare,condividere, empatizzare,ascoltare attivamente.
Il Sudan non rientra tra i Paesi coperti da Sace e non c’è un ufficio Ice (c’è l’ufficio del Cairo che è competente per il Sudan), non c’è nemmeno una camera di commercio italosudanese, quindi mancano alcuni interpreti del Sistema Paese. L’ambasciatacome si pone?
Stiamo rafforzando l’ufficio commerciale,per quanto possibile e nel quadro delle nostre competenze professionali. Ciò, se da un punto di vista strategico istituzionale si tramuterà presto in un elemento accelerativo, non deve farci dimenticare che esiste tutto un mondo tecnico fatto di analisi di mercato, di studi comparativi, di osservazioni professionali di trend settoriali, che deve essere curato da professionisti di settore per fornire un servizio completo all’imprenditoria italiana interessata al Sudan. Aggiungo che in Sudan l’acquisizione di informazioni commerciali non risulta un processo agevole o univoco o supportato da una massiccia presenza di dati telematici.
C’è anche la Cooperazione italiana che è ben presente nel Paese, ha altri scopi rispetto quelli di cui stiamo parlando però in qualche modo porta avanti l’immagine dell’Italia, quindi penso possa avere un effetto positivo.Quanto è importante cooperarecon un Paese che è anche in una posizione strategica tra il Corno d’Africa e le rotte migratorie che portano nel Mediterraneo?
La Cooperazione italiana qui è, in assoluto, tra le maggiori realtà a livello internazionale presenti nel Paese. Negli ultimi dieci anni, l’esposizione finanziaria in termini di cooperazione allo sviluppo si è assestata intorno ai 100 milioni di euro in progetti bilaterali, multilaterali, di emergenza o attraverso le Ong.Strategicamente è stata scelta la parte est del Paese, con gli stati del Red Sea, Kassala e Gedaref, che dal 2006 è stata pacificata dopo tensioni con lo Stato centrale, e abbiamo avuto ragione. Abbiamo un ruolo fondamentale che abbiamo saputo giocare al meglio e che altri non hanno: siamo stabilizzatori sociali,quando lo Stato centrale non riesce ad arrivare alle fasce più deboli, cerchiamo di arrivarci noi con progetti nei settori della sanità, ospedalieri,di formazione di quadri sanitari e anche, da qualche anno, con progetti nell’agricoltura, per la disabilità e per la parità di genere, sempre avendo come target prioritario le fasce più deboli della popolazione, come donne, donne in gravidanza, bambini,anziani, disabili.
Ciò su cui secondo me dovremmo migliorare in termini di promozione integrata del Paese Italia, è la capacità di generare empowerment commerciale e finanziario in Sudan pianificando maggiori ritorni commerciali per le nostre aziende. Nonè mancanza di etica pensare che la cooperazione allo sviluppo attraverso l’expertise italiano per i sudanesi possa continuare ad auto-alimentarsi come una dinamo, riuscendo a generare indotto commerciale per le aziende italiane. In fondo maggiore è la nostra presenza, maggiore è l’aiuto che possiamo fornire. Il Sudan beneficerebbe quindi non solo di aiuti e di sussidiarietà in termini di cooperazione allo sviluppo, ma vedrebbe anche crescere la propria capacità di esprimere una nota imprenditoriale locale con l’aiuto delle imprese e delle università italiane, in un circolo virtuoso di cooperazione allo sviluppo che continuerebbe a beneficiare le popolazioni più deboli. In questo, ripeto, siamo un po’ indietro, ma ci stiamo lavorando, e alcune collaborazioni siglate in ambito sanitario e agricolo lasciano ben sperare.
Storicamente l’Italia ha visto la sua profondità strategica nel Mediterraneo. Però già a partire dalle Primavere arabe e poi nel 2013 con l’Iniziativa Italia-Africa, c’è stato uncambiamento di prospettive. Il Sudan da questo punto di vista quanto è strategico?
Basta dare un’occhiata diversa e più moderna rispetto a quella che può dare uno studente quando apre un atlante e guarda questa parte del mondo a cavallo tra Africa-Mediterraneo e Medio Oriente, come facevo io stesso da ragazzo. Se io guardo adesso quella pagina e la collego a tutti gli avvenimenti degli ultimi venti anni, in particolare politici, geopolitici, economici e nel campo dell’immigrazione, capisco che il Corno d’Africa è potenzialmente una cornucopia verso l’Africa subsahariana, che l’Africa subsahariana non è più divisa da una stretta linea equatoriale geografica ma presenta interconnessioni dal basso verso l’alto e viceversa che creano regioni nelle regioni. In altre parole, non posso guardare al Sudan senza guardare al Mediterraneo, al Corno d’Africa, all’Africa subsahariana e alla penisola arabica, in contemporanea. Il Sudan lo ha capito ed è consapevole di essere contraddistinto in questo momento storico da un grado di stabilità maggiore dei suoi immediati vicini, nonostante i tragici dossier ancora aperti con la comunità internazionale e il difficile percorso verso una effettiva democratizzazione.Non esiste più un Mediterraneo che non abbia una proiezione verso ilSudan, non si può pensare di parlare di Corno d’Africa senza includere il Sudan, come non è più possibile pensare a un Sudan distante dalla crisi libica o dalle vicende egiziane, o pensare al Sudan senza includere le rotte che approdano al Ciad o al Centrafrica partendo dalla Nigeria,e che portano con sé immigrazione clandestina, rifugiati e pericoli legati al terrorismo. Il Sudan oggi sta acquisendo tratti di croce cardinale in aree strategiche del mondo, uno snodo nel quale l’Italia ha necessariamente focalizzato l’attenzione da un punto di vista politico, economico,sociale e culturale. Da questa prospettiva così nuova, mi viene quasi da sorridere e pensare che anche per questo affascinante Paese potremmo dire che “tutte le strade portano a Khartoum”.